Iperplasia prostatica benigna, attenzione all’infiammazione “silenziosa”

L’Iperplasia Prostatica Benigna (IPB) è la patologia urologica più frequentemente diagnosticata negli uomini a partite dai 50 anni e, secondo le stime della Società Italiana di Urologia, questa patologia nei prossimi dieci anni aumenterà di circa il 55%.

A cosa è dovuto questo aumento così marcato dell’incidenza di questa patologia?
Ad alcuni fattore “silenziosi”, come il diabete e l’infiammazione.

Infatti, in tre pazienti su quattro affetti da IPB è presente una infiammazione cronica che scatena i sintomi e favorisce la progressione della malattia. Proprio come quando ci punge un insetto, siamo aggrediti da un batterio o abbiamo una reazione allergica, anche la prostata quando è sotto attacco scatena un’infiammazione acuta come primo meccanismo di difesa contro presenze “estranee”.
Però, persistendo l’ambiente che la causa, l’infiammazione si cronicizza. La prostata, grazie alla numerosa presenza, al suo interno, di cellule che appartengono al sistema immunitario, quali soprattutto i linfociti T e B, viene riconosciuta come un organo immunocompetente e quindi qualsiasi danno, interno o esterno, provoca una reazione immunitaria, cioè una reazione infiammatoria di difesa.

Se in un primo momento tale reazione è di tipo acuto, persistendo il danno patogeno, essa diventa di tipo cronico.
Dunque non solo l’infiammazione è all’origine dell’Iperplasia Prostatica Benigna, ma, cronicizzandosi, condiziona pesantemente anche la progressione e l’efficacia delle terapie classiche. Secondo alcuni studi, l’infiammazione cronica della prostata, potrebbe aprire le porte ad un vero killer silenzioso, il tumore della prostata.

Proprio per questo è molto importante arginare la cronicizzazione di questi fenomeni e trattare i pazienti che chiedono aiuto allo specialista per disturbi infiammatori prostatici.